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Medioevo n. 310 – Novembre 2022

All’epoca del Decameron anche il solo venire al mondo era un’impresa non priva di rischi, tanto per le puerpere quanto per i neonati. E l’infanzia, soprattutto per le classi piú povere, poteva essere appesa a un filo. A chi, però, aveva avuto la fortuna di sopravvivere a quegli attimi cruciali, la vita riservava momenti d’amore e di svaghi

Nel Bucolicum Carmen, raccolta di liriche in latino che Giovanni Boccaccio scrisse a più riprese fra il 1346 e il 1374, la più commovente è Olympia, dedicata alla figlia Violante, scomparsa nel 1358 all’età di soli sei o sette anni. Nel testo, il protagonista Silvio (lo stesso Boccaccio), mentre sta per rincasare al tramonto, scorge una luce intensissima nel bosco, decide di avvicinarsi e scopre la figlioletta Olympia (Violante): crede si tratti di un sogno, ma le chiede perché non si sia più fatta né vedere né sentire. Con dolci parole, Olympia rivela di essere volata in cielo, racconta dell’incontro con Dio, con la Madonna e con il nonno. Infine saluta il padre con un sorriso angelico, ma, prima di tornare nei Campi Elisi, lo conforta dicendogli che prima o poi si sarebbero ritrovati e avrebbero vissuto insieme per l’eternità.

La disgrazia di perdere uno o più figli era molto frequente ai tempi di Boccaccio: da uno studio effettuato sulla realtà fiorentina fra il Trecento e il Quattrocento, a partire dai diciott’anni la donna aveva in media una gravidanza ogni due anni; a trentasette aveva partorito dieci volte ma, oltre agli aborti spontanei, un bambino su tre moriva entro i cinque anni di vita.

Un esempio di amore filiale ci viene dalla nona novella della quinta giornata, già ricordata in una delle puntate precedenti (vedi «Medioevo» n. 304, maggio 2022; anche on line su issuu.com): a Firenze, la ricca Giovanna è rimasta vedova con un figlio ancora piccolo e «come usanza è delle nostre donne, l’anno di state [tutti gli anni durante l’estate] con questo suo figliuolo se n’andava in contado [campagna] a una sua possessione». Suo vicino di casa è Federigo degli Alberighi, che ha dissipato la sua fortuna per conquistare Giovanna, ma senza successo. Al giovane cavaliere è rimasto solo un falco, con cui si reca a caccia. Il «garzon- cello s’incominciò a dimisticare con Federigo e a dilettarsi di uccelli e di cani; e avendo veduto molte volte il falcon di Federigo volare e stranamente piacendogli [piacendogli oltremodo], forte disiderava d’averlo ma pure non si attentava [osava] di domandarlo, veggendolo a lui esser cotanto caro» (Per continuare la lettura corri in edicola e chiedi di Medioevo o abbonati!)

di Corrado Occhipinti Confalonieri




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Non per ignoranza, né per oscurità…
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Una vita da conquistare
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Una notte d’inverno un cavaliere…
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